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NAPOLI, A 13 ANNI GERARDO PULISCE LA SPIAGGIA MA HA DIRITTO A UN MARE PULITO

Foto di Vincenzo Morreale

Di G. Manzo e T. Raio – Ha solo 13 anni. Per il papà è un “ragazzo speciale”. Gerardo vive a San Giovanni a Teduccio, periferia orientale di Napoli,  e ha a cuore il suo quartiere con il suo mare e con le spiagge. Questa linea di costa, però, è inquinata. La più inquinata della Campania, secondo i dati Legambiente degli ultimi 10 anni. Lo specchio d’acqua dove ogni giorno d’estate si tuffano centinaia di persone contiene batteri e sostanze inquinanti che ne vietano la balneazione. Gerardo non si è perso d’animo. Nonostante i problemi da ragazzo “speciale” si è informato sul web e ha intercettato chi da anni di batte per quel mare, quella costa e il suo patrimonio storico come il Fortino di Vigliena.

In questo modo ha riconosciuto Vincenzo Morreale che con il suo Comitato Civico conduce da anni una battaglia per l’ambiente e un’altra idea di quartiere che potrebbe rimpossessarsi del proprio mare pulito come fino a metà ‘900.

Gerardo lo ha detto anche a scuola, lo ha detto anche al sindaco Luigi de Magistris quando ha fatto visita al suo istituto scolastico: “sindaco il mare, il forte di Vigliena: bisogna fare qualcosa” gli ha riferito davanti ai suoi compagni.

Però Gerardo con i suoi 13 anni non si è fermato alla rivendicazione. Ogni giorno prende scopa e paletta per pulire la spiaggia del vecchio Municipio insieme al padre che al telefono ripete che quel figlio “speciale” tiene all’ambiente e al mare.

Questa generazione, soprattutto quando presenta la propria essenza speciale immortalata da Jorit nel murales accanto al “Maradona” del Bronx, ha quella stessa espressione di Greta. Una gioventù che vuole un altro rapporto con la Terra e il suo mare. Capito sindaco de Magistris, presidente De Luca e governo nazionale? Gerardo vuole il suo mare. È un suo diritto.

DONNA, LESBICA E CON DISABILITÀ: “SIAMO INVISIBILI MA VOGLIO VIVERE CON CHI AMO”

È una storia di lotta e affermazione dei propri diritti quella di Maria Rosaria Malapena. Ha sempre combattuto per un mondo come dice lei “meno standardizzato” e in cui venissero inclusi anche i cosiddetti “diversi”. Autonomia, diritto alla sessualità per i disabili, lavoro e accessibilità: queste alcune delle battaglie che Maria Rosaria porta avanti da sempre.

Qual è la condizione di una donna lesbica con disabilità? Quanti pregiudizi?

La condizione di una donna lesbica con disabilità nel mondo sembra che non esista. Viene vista dalla società come un qualcosa di inutile. Siamo trasparenti agli occhi degli altri, trattati con indifferenza.

Come si è confrontata in famiglia quando ha spiegato la sua sessualità?

Il pregiudizio maggiore è quello di non concepire che una donna con disabilità possa essere una figlia normale, peraltro anche lesbica. La nostra società non accetta che una donna con disabilità abbia anche una vita sessuale, questo è il pregiudizio più assurdo e cattivo che ci possa essere.

La mia famiglia ha sempre saputo tutto di me, soprattutto con mia madre ho un rapporto speciale. Io sono nata con un disagio fisico, quindi sono diversa da sempre.

Quali sono i principali problemi? Accessibilità, lavoro?

Non si può trattare un diversamente abile come tutti gli altri, ciascuno ha problematiche e patologie differenti. Il mondo standardizzato non va bene per tutti. L’accessibilità è un altro dramma di questo Paese: i disabili non possono superare un reddito annuale, se ciò avviene gli viene immediatamente tolta l’invalidità e le terapie come le paghiamo? È una contraddizione in termini: bisogna essere autonomi economicamente per pagarsi le terapie, però allo stesso tempo se il reddito annuale supera una determinata soglia non si ha più diritto all’invalidità.

Qual è il suo sogno per il futuro?

Il mio sogno per il futuro è vivere serenamente con la donna che amo. Desidero sposarmi e fare tutto ciò che fanno le coppie “normali”: passeggiate, viaggi, lavoro.

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Foto di Alessio Viscardi

Articolo di Alessio Viscardi – “Faccio dialisi, ho problemi al cuore e sono stato operato” esordisce così Domenico Raucci, napoletano ma da trent’anni nella Capitale. Nei mesi del lockdown e dell’emergenza per il coronavirus, lui e il suo amico Tito Bisson hanno preso un furgone per il trasporto delle persone con difficoltà motorie, l’hanno riempito di pasta, sughi e generi alimentari per consegnarli alle famiglie stremate da settimane di chiusura delle attività commerciali. “Una mano solidale”, questo il nome che hanno dato all’iniziativa nel quartiere di Centocelle. Hanno riempito le strade di ceste e sopra ci hanno scritto “Chi ha metta, chi non ha prenda” creando dei pit-stop della solidarietà.

Tutto parte quando una donna in lacrime chiama Tito al cellulare: “Domani non so cosa dare da mangiare ai miei figli”, così lui e Domenico cominciano a portare la spesa a chi non ha più i soldi per mettere un piatto a tavola. “Io campo con trecento euro al mese di pensione d’invalidità” -continua Domenico, mentre con difficoltà carica un paio di casse sul furgone- “Mi arrangio a fare qualche lavoretto per tirare avanti, altrimenti lo Stato ti fa morire di fame”. Nonostante la salute precaria, scende in strada ogni giorno per dare una mano: “Noi napoletani abbiamo il cuore buono, voglio dare una mano a chi è più in difficoltà di me per dimostrare che siamo tutti un’unica nazione”.

Le giornate in quarantena di Domenico sono scandite dalla routine della dialisi: “Vado a farla alle cinque di mattina” e da un po’ di solitudine: “Ho una figlia di tre anni, ma non vive con me perché economicamente non ce la faccio a tenerla e sta con la madre”. Di mezza età, dializzato e cardiopatico, Domenico è forse una delle persone più esposte al Covid19: “Io ho paura del virus, ma finché ce la faccio fisicamente cerco sempre di aiutare gli altri”.

(alessio viscardi)